Monsignor Luigi Tabasco, ordinato prete nel 1948, si è trovato a vivere la sua esperienza di prete e di parroco nel periodo preconciliare e post-conciliare, con tutte le problematiche che ne sono scaturite e che si possono immaginare, ma anche con le gioie e le soddisfazioni di chi, avendo sognato una Chiesa meno clericale e più laicale, l’ha vista concretizzata, grazie anche alle indicazioni scaturenti dai Documenti dei Padri conciliari. Proprio per questo, le mete, raggiunte successivamente, e i sogni, fatti e attuati, lo hanno ampiamente ripagato delle tante rinunce e sacrifici, diventando per lui la corona preziosa e la gioia incommensurabile del suo sacerdozio ultracinquantennale.
Le persone del territorio, oggi decisamente cambiato, e specialmente qualcuno della vecchia generazione, a distanza di tanti anni, ancora se lo ricordano, con affetto, gratitudine e simpatia, pur non negandone i difetti e qualche atteggiamento discutibile, dovuto al carattere ed al peso delle responsabilità assunte. La fedeltà è stata la misura della qualità del suo impegno incessante e dell’amicizia ricambiata che il Signore gli offriva e che lo rendeva più forte. Egli non faceva altro se non presentargli il fondo di miseria, comune a tutti noi, per lasciarsi avvolgere dalla misericordia, dall’amore e dalla santità di Dio. Non rassegnarsi ma lottare sempre, amare, non calcolare troppo ma rischiare, non cedere, non arrendersi, ma avere fede, sono stati i verbi da lui più coniugati nella sua lunga esistenza. Egli è stato il sacerdote che ha cercato di farsi prossimo di ognuno, attento a condividere la solitudine, l’abbandono e la sofferenza dei fratelli.
Avendo accettato di non disporre di sé, la sua agenda l’aveva consegnata al Signore ogni giorno lasciandosi plasmare, incontrare dalla gente e diventare lui stesso incontro. Non è stato un burocrate o un funzionario delle istituzioni, non ha cercato assicurazioni terrene, non ha domandato nulla che andasse oltre il reale bisogno, né si è preoccupato di legare a sé le persone che gli sono state affidate.
Il suo stile di vita, libero, semplice, essenziale, disponibile, lo rendeva credibile agli occhi delle persone e lo avvicinava agli ultimi. Egli è stato il prete che, nonostante i limiti, mette in gioco la sua vita fino in fondo nelle condizioni concrete in cui lo poneva il Ministero, e si è offerto con gioia, umiltà, gratuità anche quando nessuno sembrava accorgersene, anche quando, intuiva che umanamente parlando nessuno lo avrebbe ringraziato per il suo donarsi senza misura.
Assimilato al Cristo Crocifisso e Risorto, don Luigi è divenuto, nell’ultima parte della sua vita, agnello immolato. In questa scelta misteriosa è racchiuso il senso autentico del suo ministero sacerdotale. Il successo della sua azione non va cercato “nella potenza che annienta i nemici” perché la fecondità pastorale scaturisce dall’apparente fallimento umano, dalla consegna inerme alla morte di croce, perché nella debolezza dell’uomo confidente in Dio si manifesta la forza dell’Eterno, così come scrive S. Paolo nella 2 Cor 12,9-10 “Egli mi ha detto: «Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza».
Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte”. Un parroco è un servo che ricorda bene che la forza che fa germogliare, giorno per giorno, il seme del bene, non è la sua intelligenza, la sua cultura, la sua esperienza o le sue capacità manageriali ma la Parola che libera e che salva.
Io non lo conoscevo, ma, volendo far riferimento ai suoi impegni ministeriali, così come ho appreso dai suoi ricordi, essi sono stati tanti e vari: nella Diocesi di Sessa Aurunca, da giovane prete, è stato segretario del Vescovo diocesano, poi docente di Religione, di italiano e latino, direttore spirituale e Assistente di AC. Finalmente il I ottobre 1951 è stato mandato a Cappella Cangiani come cooperatore dell’allora parroco mons. Francesco Cordella.
Il 28 novembre 1953 è divento Vicario economo della parrocchia e finalmente 11 aprile 1954 parroco di S. Maria di Costantinopoli a Cappella Cangiani. Disinteressato, completamente distaccato dal denaro, aveva aderito all’Opera della Regalità ed aveva anche fatto i tre voti. Nella giovinezza è stato segnato dalla tubercolosi, anche se non chiaramente diagnosticata, ma ne era uscito completamente risanato. In questo periodo, come lui stesso raccontava tante volte, aveva sperimentato la solitudine ed una certa sorta di emarginazione specialmente da parte dei confratelli, preoccupati o forse impauriti per il suo stato di salute, temendone il contagio.
L’ho incontrato, per la prima volta, nell’ottobre del 1973, quando, giovane prete, sono stato destinato dal Cardinale Corrado Ursi, nella Parrocchia di Cappella Cangiani, come Vicario cooperatore. Il mio primo incontro con lui non fu cordiale, mi accolse certamente con cortesia, forse con curiosità, ma con freddezza e distacco, questo anche dovuto al suo carattere distaccato e burbero e ad una certa prevenzione e diffidenza che i preti, più avanti negli anni, nutrivano verso di noi appena usciti dal Seminario. Noi giovani, venivamo giudicati pigri e contestatori senza neanche conoscerci.
Era quello il tempo del dopo Concilio, della lotta per l’abolizione del celibato, della nascita dei cosiddetti “ Gruppi dei cristiani di base ” e della iniziale crisi di autorità nella Chiesa. Ne avevo avuto conoscenza da seminarista e, abitando a Torre del Greco, mia città natale, avevo visto con grande sofferenza alcuni giovani preti del luogo o dei paesi vicini assumere atteggiamenti contestatori e ribelli verso l’Arcivescovo e verso la Chiesa, finendo poi, col tempo, col lasciare il sacerdozio, qualcuno in maniera violenta altri dopo aver ottenuta la necessaria dispensa.
Col tempo e con la frequentazione quotidiana, però, ho imparato a conoscerlo, riscontrandogli una certa sorta di riservatezza e di timidezza. Era desideroso di imparare perché forse si sentiva povero e inadeguato, date le sue umili origini e l’ambiente in cui aveva trascorso l’infanzia.
A Cappella Cangiani ormai i pochi nativi si mescolavano con i tanti professionisti e docenti universitari che, data la presenza dei grandi Ospedali e delle Facoltà Universitarie, venivano a risiedere. Questa recettività, virtù rara, che gli consentiva di apprendere da tutti e da tutto, anche dai propri errori e dai propri limiti, lo rendeva più profondo, essa partiva dalla sua introversione e dalla sua pensosità naturale. Osservava, ascoltava con attenzione, aprendosi alle novità del tempo e cercando di mettere in pratica i Programmi pastorali che il Cardinale Corrado Ursi, in maniera continuativa e vulcanica dava alla Arcidiocesi.
La Chiesa di Napoli stava vivendo una nuova primavera e don Luigi voleva mettere tutto in pratica, assumendo fino in fondo le sue responsabilità di Pastore, aperto ai segni dei tempi. Egli, quando arrivava a conoscere e a stimare il prete giovane destinato alla Parrocchia, e Cappella Cangiani ne ha avuti tanti, colti, intelligenti, creativi, pieni di entusiasmo e di zelo pastorale, dava spazio e lasciava lavorare con serenità. La parrocchia, nel frattempo, con i nuovi insediamenti e, grazie anche all’abuso edilizio, perpetrato in quegli anni, cresceva a dismisura nel numero di abitanti, (oggi ne conta ben 62.000), ed era indispensabile trovare nuove strategie pastorali e forze rispondenti alle esigenze dei tempi. Inoltre, era anche il tempo in cui si apriva il II Policlinico ed un gran numero di studenti, provenienti dalle regioni vicine, veniva ad abitare nella zona.
La cura delle giovani generazioni, la ricerca, la promozione e l’utilizzo degli strumenti di informazione e di formazione, la preoccupazione di utilizzare al meglio il tempo libero divennero le priorità pastorali. Quando, in tante parrocchie, ci si preoccupava innanzitutto e, forse, soltanto del catechismo dei fanciulli e della cura della liturgia, nella parrocchia di Cappella Cangiani si organizzavano percorsi di preparazione al Matrimonio e al Battesimo, fatti, all’inizio, coppia per coppia e, successivamente, a gruppi.
Inoltre egli aveva già da tempo pensato al cineforum, al teatro, ai campeggi per i ragazzi come luogo di promozione umana e di evangelizzazione. Una delle proposte per i ragazzi, rare in quel tempo, fu la sua invenzione del cosiddetto “Manganello d’oro”, una brillante iniziativa di quelle che lasciano il segno. Si trattava di un vero e proprio festival della canzone per i ragazzi, al quale partecipavano non solo i fanciulli del catechismo ma anche quelli delle Scuole presenti su territorio. Ancora per i fanciulli e i giovani, collaborato fortemente dal prof. Amedeo Salerno e dall’indimenticabile prof. Pietro Pastore allestì un campetto per la pallacanestro ed il basket e, posso dire che quasi certamente tutti i ragazzi della zona sono passati per quel campetto e vi hanno giocato, essendo quella l’unica realtà sportiva presente sul territorio.
Ma occorreva però, a suo avviso, che la parrocchia facesse un ulteriore salto qualitativo ! Dopo tre anni di presenza nella Comunità, mi fece nominare Vicario Adiutore. Un bel giorno, tornando dalla Curia, dove quotidianamente si recava per affrettare le pratiche necessarie per la costruzione della nuova Chiesa parrocchiale, se ne venne portandomi la lettera di nomina. Alla mia domanda sul perché di questa scelta mi rispose “per legarti alla parrocchia e per la successione”.
Da quel momento in poi, ci dividemmo un po’di fatto le responsabilità tra noi preti che lavoravamo in parrocchia. Don Luigi pensava ai lavori, ai debiti da pagare, alla vita della canonica, ai campeggi ad Alfedena, la cittadina dell’Abruzzo dove aveva comprato ed allestito un campeggio, da lui guidato nei mesi di luglio e di agosto, don Cosimo Nestola, nostro ospite, provvedeva alla catechesi dei fanciulli e all’ACR, don Salvatore Fratellanza, attuale parroco di S. Maria della Rotonda, ai giovani, al nascente Circolo Culturale e alla Sala teatro, appena inaugurata, don Giuseppe Rassello alla cura dei giovani sbandati, disorientati, potenzialmente vittime della droga, io invece alla Pastorale familiare e a quella Ministeriale.
In quel periodo furono ordinati i primi due diaconi permanenti e poi tanti altri Diaconi, Accoliti e Lettori. Essendo anche il momento del referendum sull’aborto, con l’aiuto dei medici obiettori della zona, fu organizzato il primo Consultorio familiare parrocchiale. La parrocchia fu anche divisa in Diaconie e venne anche promosso il discorso ecumenico con interessanti risultati e la pastorale vocazionale.
Nel periodo in cui è stato parroco sono stati ordinati due presbiteri: don Massimo Ghezzi e don Angelo Lombardo e avviato al sacerdozio don Jonas Gianneo, oggi Moderatore della Curia Arcivescovile e parroco di “ S. Maria Francesca delle Cinque piaghe ” a Casoria. Proprio per questa sua sensibilità il Cardinale Ursi volle anche nominarlo per un anno Rettore del Seminario Minore Arcivescovile.
Don Luigi, intanto, completata la costruzione della nuova chiesa, si occupava dei locali annessi, dove accolse tre classi della vicina Scuola Media e successivamente una Comunità di Religiose “ le Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret”. Tutto ciò, come era da prevedersi gli costò tanta fatica e forse impopolarità e sofferenza anche perché per aumentare i luoghi di formazione e di accoglienza, non esitò a costruire abusivamente nuove aule per la catechesi e per questo fu denunciato e condannato.
Lui andava avanti sempre con decisione, tenacia e concretezza. Era un uomo affidabile. Ogni incarico assunto, lo accoglieva e lo portava sempre a termine, prendendo sul serio ogni responsabilità. A lui e alla sua parola si poteva dar credito ! Don luigi, inoltre, è stato un uomo che ha saputo perseverare sino alla fine. Un uomo “resistente”. Mi piace qualificare così la sua perseveranza nell’amare il Signore anche durante la malattia, nella debolezza, nella vicinanza della morte. Viveva in una serenità spirituale che non poteva non essere frutto di una lotta maturata nella fede. Anche quando è stato colpito dall’ictus non si è fermato, ha continuato a svolgere il suo Ministero, accoglieva, ascoltava aiutava, confessava, dirigeva spiritualmente le persone che si rivolgevano a lui.
Mi raccontava sempre che nel giorno della Ordinazione aveva chiesto al Signore come dono la grazia di poter celebrare tutti i giorni la S. Messa, grazia che gli è stata concessa anche quando costretto sulla sedia a rotelle faceva fatica anche a parlare. Tutto questo ormai lo faceva stando presso l’Istituto delle Povere Figlie della Visitazione ai Colli Aminei, dove, per poter essere meglio accudito, si era ritirato.
Il Cardinale Giordano, al momento delle sue dimissioni da parroco, aveva voluto dargli un ulteriore segno di affetto e di stima cooptandolo nel Capitolo dei Canonici della Cattedrale dove, fin quando le forze glielo hanno consentito, andava per partecipare alla Liturgia delle Ore e alla S. Messa capitolare. Nel suo libro, quasi una sorta di testamento, dal titolo “Cappella Cangiani e la sua parrocchia tra memoria e storia”, racconta la sua esperienza di parroco.
Nella prefazione del testo, egli scrive “ Nella nostra Chiesa parrocchiale non esistono lapidi commemorative che tramandino ai posteri il ricordo di tanti avvenimenti caratterizzanti la storia della nostra Comunità. Pur tuttavia bisogna ricordare quel che è avvenuto perché quelli che seguiranno facciano più e meglio. Mi sento di ringraziare Dio per quanto si è degnato di fare in questa porzione del suo gregge, riconoscente verso questo popolo generoso che ha tanto concorso alla costruzione della chiesa. Cinquant’anni vissuti nello stesso posto non possono non lasciare un’impronta nella propria vita.
Quando poi si tratta di vita sacerdotale, per la quale il Signore ha profuso cariche d’energia tali da poter dedicare tutta la vita per la promozione umana e cristiana, è fin troppo chiaro che la parrocchia si identifica quasi con colui che l’ha guidata per tanti anni. Così è avvenuto per me!” Quando il 21 giugno 1991 si è accomiatato dalla parrocchia, nel suo saluto ha scritto: “nella mia vita ho cercato l’essenzialità senza badare ai particolari, ho cercato l’interiorità dando spazio a tutti i Movimenti perché il Regno di Dio si facesse strada pur nella varietà delle impostazioni.
Ho cercato la tempestività nell’aggiornamento cominciando dalla esperienza diaconale e ministeriale. Che cosa vi ho dato? Gesù, la sua grazia, i suoi Sacramenti, il suo amore. La mia preoccupazione è stata sempre quella di condurvi a Gesù e di darvi Gesù”.
Il Pastore buono che lo ha chiamato a sé il giorno 8 luglio 2013 certamente lo ha accolto alla sua presenza per concedergli il premio riservato ai Ministri del Vangelo. Egli ha lasciato il testimone nelle mani di altri ma il seme, da lui lanciato nel terreno, raccolto e curato, non potrà non portar frutti e frutti abbondanti.
Nel concludere queste mie riflessioni, vorrei citare alcune espressioni di mons. Gualtiero Sigismondi, vescovo di Foligno che ben si addicono allo stile di vita e alle scelte di mons. Tabasco. Tra i preti “c’è chi accumula pensando alla vecchiaia, perché non si sente in famiglia nel Presbiterio diocesano; c’è chi accumula lasciando al successore l’onere della manutenzione della Chiesa e della canonica; c’è chi accumula vivendo da miserabile; c’è chi accumula dimenticando che Dio Padre” nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli dei campi”. P. Luigi, ben lontano da queste tentazioni, ha saputo scegliere, facendo della sua vita un dono a Dio e ai fratelli.
Mons. Raffaele Ponte
Parroco di Cappella Cangiani