(per la conclusione del cammino interparrocchiale dei fidanzati)
La famiglia, oggi, vive in un habitat sociale profondamente mutato. Si sono modificati il sistema di vita e di lavoro, i rapporti sociali, con notevoli ripercussioni anche sul vissuto religioso. Tutto ciò richiede un urgente e attento discernimento evangelico. Qualcuno ha parlato della fine della famiglia ma la Chiesa ha sempre pensato e insegnato che la “crisi della famiglia” non significa la fine di essa ma la ricerca di nuovo slancio che le consenta di riassumere nella società e nella Chiesa e, con maggiore vigore, il suo ruolo.
Ripercorriamo, stasera, guidati dall’Evangelista Luca, il cammino di quell’uomo che da Gerusalemme andava a Gerico. Tale avventura può farci cogliere le tante tensioni che oggi vive la famiglia ma anche aiutarci a riscoprire il progetto che Dio ha su di essa. Vogliamo leggere in tale cammino quello ideale della famiglia cristiana.
Rileggendo il brano di S. Luca, al cap. 10, vv. 25-37, vi scorgiamo la famiglia cristiana alla riscoperta della sua identità.
Da Gerusalemme la famiglia scendeva a Gerico. Stava camminando per le vie tortuose della storia quando incontrò i “tempi odierni”. Non erano peggiori degli altri periodi della storia ma si accanirono contro la famiglia per toglierle la pace e farle perdere la sua identità. La derubarono prima della fede, poi la spogliarono della unità, della fedeltà, della fecondità e della gioia dei figli e infine finirono col toglierle la serenità del dialogo all’interno di essa, la solidarietà con il vicinato, l’ospitalità, l’apertura agli altri. La lasciarono, così, semiviva sulla strada e se ne andarono.
Passò per quella strada un sociologo che, vedendo la famiglia così ridotta, sentenziò: “ormai è morta” e passò oltre. Poi passò un prete che, vedendola, si mise a rimproverarla: “dovevi opporti, perché non hai combattuto ? ” e andò via. Poi le venne accanto uno psicologo che sentenziò: “ l’istituto familiare era oppressivo, meglio così ! ”. Alla fine passò Dio. Si chinò sulla famiglia e ne curò le ferite, vi versò su di esse l’olio della tenerezza e il vino della consolazione. Poi se la caricò sulle spalle e la portò fino alla Chiesa più vicina.
Quando si riebbe, la famiglia ripensò al volto di Dio chino su di essa, assaporò la gioia di quell’amore mostratole e si chiese come ricambiarlo. Una volta guarita, decise di ritornare sulle strade del mondo per guarire le ferite delle altre famiglie. Si sarebbe fermata accanto ai malcapitati della vita per assisterli e dire loro che c’è un amore che salva, un amore che si ferma accanto a chi è disprezzato, a chi si disprezza avendo perduta la propria dignità. Alla finestra, poi, avrebbe messo una lampada accesa come richiamo per gli sbandati e la sua porta sarebbe rimasta sempre aperta per gli amici, per gli sconosciuti per chiunque, scoraggiato e triste, avesse avuto fame, sete, bisogno di compagnia e soprattutto di amore.
Sac. Raffaele Ponte
Direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale familiare